Marcello Lonzi, due buchi in testa, otto costole rotte, sangue ovunque, ma per la magistratura il decesso in carcere fu causato da infarto.

DUE BUCHI IN TESTA, OTTO COSTOLE ROTTE, SANGUE OVUNQUE: MA PER I GIUDICI IL DECESSO DI MARCELLO LONZI, DETENUTO DAL CARCERE DELLE SUGHERE DI LIVORNO FU CAUSATO DA UN INFARTO. UNA STORIA DI MORTE NELLE MANI DELLE STATO LUNGA 18 ANNI
Quando il compagno di cella di Marcello ritornò nell’unità detentiva lo vide riverso a terra in una pozza di sangue. Aveva ematomi su tutto il corpo e ferite sul volto. Era morto. Morto mentre era detenuto nel carcere livornese delle Sughere l’11 luglio del 2003. Morto nelle mani dello Stato, come tanti – troppi – prima e dopo di lui. Vi era entrato nel gennaio dello stesso anno, condannato a 9 mesi di detenzione per un tentativo di furto: sarebbe dovuto uscire meno di 4 mesi dopo.
La mattina seguente uscì la notizia: un detenuto si è suicidato alle Sughere.
Anzi, no, è stato un infarto, che lo ha stroncato nel sonno. E, cadendo, Marcello si è rotto otto costole, si è provocato due buchi in testa – di cui uno fino all’osso – e lesioni varie. Questa è l’autoassoluzione pronunciata dallo Stato, nella fattispecie dalla procura di Livorno, che non farà mai partire un processo relativo alla morte di Marcello Lonzi.
Si arriva alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che dichiara inammissibile l’apertura di un procedimento in quella sede. In tutte queste fasi vengono ignorate perizie mediche che descrivono le ferite e i traumi presenti sul corpo del ragazzo.
Questo nonostante attraverso alcune testimonianze escano fuori fatti rimasti in secondo piano. Marcello che risponde male ad una guardia penitenziaria; la prassi consolidata di portare i detenuti “ribelli” in celle con solo le mura, il pavimento e un materasso, e riempirli di botte; quel secondino che, alle lamentele di un altro detenuto disse “zitto che ti facciamo fare la fine di Lonzi”. E quelle foto scattate subito dopo il decesso (una la vedete nel primo commento del post) che vedono Marcello a terra, insanguinato, con tracce di sangue anche fuori dalla cella, come se il corpo del ragazzo fosse stato trascinato di peso fino al suo letto.
Tutto questo non conta per lo Stato. Infarto. Anzi, “forte infarto”.
E Marcello finisce così accanto ad Aldo Bianzino, Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva, Niki Aprile e molti altri. Morti mentre erano nelle mani dello Stato.
Noi, coerentemente con quello che abbiamo sempre fatto e continuiamo a fare in questo spazio, non smetteremo mai di chiedere verità e giustizia per tutte le vittime di violenza istituzionale.
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